Alla ricerca dell’umano: tra fragilità e bellezza
Stai calmo.
Ti può accadere qualcosa
Di terribile solo se pensi
Alla vita come a una cosa sicura.
Pensa, invece, che sei finito
Per caso in mezzo ai respiri del mondo.
Pensa che la casa di tutti
È il niente, ma non il niente
Che ci aspetta, quello è solo
Una nostra ipotesi, pensa
Al niente di cui siamo fatti
E in cui spunta per miracolo
Il cielo, una montagna,
un braccio.
L'insidia dell'ansia è farti
Pensare che forse stai morendo,
ma questo è il male di chi si crede vivo, di chi non sa
pensarsi
come un filo d'erba, una nevicata,
un soffio di vento.
Non so quando abbiamo
Cominciato la sinfonia
Della presunzione, la pretesa
Di essere e di avere.
Non è questo il nostro mestiere
Aspetta il giorno assieme ai muri,
ai ragni. Non credere
alle furbizie, ai guadagni.
Se resti vivo per altri due secondi,
lasciane uno per te e un altro
per il mondo
Franco Arminio
Lettere a chi non c'era
Ciò che manca è la ricerca di un farmaco dell'esistenza capace di conciliare le parti (dentro e fuori di noi) in favore di qualcosa di infinitamente più grande, ma anche in grado di stare nell'infinitamente piccolo della nostra vita. Come scrive Romano Màdera: "nessuna conciliazione può darsi senza trasfigurazione capace di contenere, di congiungere – sia pure attraverso la narrazione tragica e le categorie dell'opposizione dialettica – ciò che altrimenti rimarrebbe una sommatoria o una giustapposizione"1.
La prima versione di Sacrificio, film-parabola di Andrej Tarkovskij, narra la storia di una miracolosa guarigione di un malato di cancro, che apprende dal suo medico la dura verità che i suoi giorni sono inevitabilmente contati. Un giorno qualcuno suona alla porta di Aleksandr, è un veggente che gli comunica che deve recarsi da una donna con la fama d'essere una strega e maga e passare la notte con lei. Il malato si fida, accetta e si reca dalla donna che guarirà il suo cancro sotto gli occhi increduli e meravigliati del medico. Ovviamente non si tratta di una guarigione da una malattia mortale, ma di una rinascita spirituale attraverso ciò che più di tutto in quel momento rappresentava la sua vita interiore, l'Anima del suo mondo interiore, probabilmente sepolta nelle macerie di una quotidianità collettiva mortifera ed egoriferita. Aver accolto con un atto di fede quel messaggero assurdo alla sua porta ha modificato il suo sguardo e tutta la sua precedente rappresentazione sul mondo, rendendola più immaginale, "folle", simbolica e capace di sperare in soluzioni inattese. Scrive Tarkovskij: "Un monaco, passo dopo passo, secchio dopo secchio, portava l'acqua sulla montagna e innaffiava l'albero inaridito, credendo senz'ombra di dubbio nella necessità di ciò che faceva, senza abbandonare neppure per un istante la fiducia nella forza miracolosa della sua fede… E così poté assistere al Miracolo: una mattina i rami dell'albero si rianimarono e si coprirono di foglioline. Ma questo è forse un miracolo? È soltanto la verità"3.
In un'intervista fu chiesto a Carl Gustav Jung se ci sarebbe stata in futuro una terza guerra mondiale e lui rispose che dipendeva da quante persone individualmente sarebbero state in grado di farsi carico della propria Ombra. La malattia, l'handicap, il diverso, l'informe sono tutte esperienze d'Ombra (i lati indesiderati in noi) che non possono essere rimosse, semplicemente perché esistono e ci costituiscono come esseri umani. Quindi il primo grande merito di Nadia è stato richiamare alla memoria che la bellezza è maggiormente riconoscibile nell'interezza e non nella parzialità edulcorata dalle fabbriche dei desideri impossibili e dei piaceri illimitati. La paura può attenuarsi solo se sappiamo avvicinarci all'altro, al diverso, integrando la prospettiva non illuminata dalla luce accecante e che porta dentro sé anche alcuni aspetti della malattia. Non aver paura di restare soli e solo con la parte malata connessa al risentimento e al dolore per la perdita, ci consente di preservare con tutte le forze anche l'altra faccia, che sopravvivrà qui o altrove e in altra forma.
Julia Kristeva, semiologa e linguista presso l'università di Parigi, parla spesso di tirannia della normalità come la fatica d'essere semplicemente se stessi, anche diversi, anche malati come nel caso di Nadia. La tirannia della normalità non può accettare le debolezze, le fragilità e le malattie, troppo difficili da normalizzare perché fuori campo e tutto sommato appartenenti agli scarti. La tirannia della normalità non sa accettare la fiducia dell'altro, perché solo se c'è fiducia puoi parlare senza pudore e rimozioni.
Sigmund Freud usa il vocabolo Die Scham per indicare vergogna e pudore. Solo se essi vengono superati si può parlare liberamente vincendo le difese e attivando la fiducia nella verità e nella cura. La tirannia della normalità non sa che la bellezza può anche nascere da quegli scarti perché capace di trasformarli e trascenderli in esperienza, relazioni, comunioni, gruppi di appartenenza, primo tra tutti quello umano.
Pier Aldo Rovatti si è chiesto se non sia proprio quello scarto, quel quasi niente che siamo, che sa rappresentare e concentrare il nostro essere al mondo. Il quasi niente non è una riduzione del grande, ma è un nuovo territorio dove si può trovare il grande trasfigurato: "questo margine non ha da produrre margini, bordi, confini, isole sempre più piccole: al contrario allarga ed estende, ingrandisce l'esperienza… il soggetto si rimpicciolisce mentre si ingrossa l'esperienza… questo pensiero, se ancora possiamo chiamarlo così, non è un conoscere, è un'esperienza globale"6.
L'esperienza condivisa di Nadia Toffa, tra le tante sfumature di possibili cure, ha rappresentato di certo l'incontro con la fragilità e ha fatto nascere una nuova presa di coscienza simbolica, nuovi linguaggi che abitano spesso dove lo sguardo abituale non si posa, in quei luoghi capaci di mobilitare gli aspetti di inaspettata creatività e riparazione, per la vita, ovunque essa sia.
NOTE:
1 Màdera R. (2012), La carta del senso, Raffaello Cortina, Milano, p. 73.
2 Racamier scrive, riprendendo Freud, "che il lutto si fa per piccole frazioni, a piccole quote, e voglio sottolineare quanto Freud diceva a proposito del lavoro del pensiero che si fa per piccole quantità, per piccole frazioni di energia"; in Racamier P.-C. (2010), La crisi necessaria, Franco Angeli, Milano, p. 57.
3 Tarkovskij A. (2015), Scolpire il tempo, Istituto internazionale Andrej Tarkoskij, p. 209.
4 Racamier P.-C. (2010), La crisi necessaria, cit., p. 128.
5 Klein M. (1940), Il lutto e la sua connessione con gli stati maniaco-depressivi, in Id., Scritti1921-1958, Bollati Boringhieri, Torino, 2006, pp. 336-337.
6 Rovatti P.A. (1983), Trasformazioni nel corso dell'esperienza, in Id. e Vattimo G. (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano, pp. 48-50