"Il tempo che ci vuole" tra la vita e il cinema
Il bellissimo film di Francesca Comencini, fuori concorso a Venezia 81, è un viaggio verso la rivelazione di un nuovo incontro con il padre Luigi: due soli personaggi, un padre e una figlia e il resto in dissolvenza dalla fine degli anni '60 agli anni '90, dentro un tentativo di recupero della memoria che si lega a fatti e immagini che arrivano dall'esterno, dai notiziari televisivi come la strage di Piazza Fontana, l'assassinio di Aldo Moro e gli attentati delle brigate Rosse. Francesca scrive un'opera d'arte capace di far riflettere su tanti temi importanti tra cui il più emotivamente risonante e forse il più inclusivo è la toccante frase che Luigi urla sul set al suo assistente: "Prima la vita, poi il cinema, prima la vita e poi il cinema…". Cosa può significare "prima la vita e poi il cinema?". Che differenza c'è tra vita e l'arte in questo ultimo film di Francesca Comencini? I sogni, l'immaginazione, la fantasia, ecc. in cosa si differenziano dalla vita? Luigi Comencini, padre di Francesca, racconta la storia dei suoi primi fallimenti a Parigi quando la prima ragazza sognata non si presentò all'appuntamento e lui si infilò in un cinema incontrando cosi il vero grande amore. Il cinema incontrato per caso a partire da una sensazione di fallimento, orientò la vita di Luigi. Sembrerebbe quindi una contraddizione la frase che antepone la vita al cinema. Quello di Francesca è un evidente omaggio al padre che le ha trasmesso il valore del fallimento perché "La vita è una serie di fallimenti. Fallire sempre non importa. Tentare ancora, fallire ancora, fallire meglio". La psicoanalisi e il cinema nascono nello stesso periodo. A Parigi, nel 1895, viene proiettato il primo film dei fratelli Lumière e a Vienna, negli stessi anni, Freud mette in scena un nuovo modo di relazionarsi con le malattie psichiche attraverso l'analisi e l'interpretazione dei sogni. Messa in scena che saprà influenzare enormemente la visione dell'uomo, della società e dell'arte. Una delle grandi affinità tra cinema e psicoanalisi è l'utilizzo del registro iconografico quale mezzo fondante e costitutivo, capace di portare a coscienza gli scenari dei movimenti inconsci; la psiche e il cinema si strutturano entrambi su un registro proiettivo. L'ambigua e doppia rappresentazione della realtà (come la storia che Luigi ricorda a Francesca di quando era ragazzo al primo appuntamento con la ragazza dei suoi sogni in una Parigi del dopo guerra) porta lo spettatore, attraverso la visione del film, alla possibilità di interpretare simbolicamente ciò che sta vivendo. Il cinema si interfaccia alla vita come una sorta di terapia, come una delle tante possibilità terapeutiche. Francesca è una bambina che segue sul set il papà nelle riprese delle Avventure di Pinocchio. Ha paura dei pescicani, osserva costantemente Luigi e ogni tanto si incanta dentro una bellezza che non sa contenere. Francesca cerca di capire se il suo è un gioco di magia e il papà un mago o se è la verità della vita che si esprime su quel set. Pinocchio diventa una sorta di modello simbolico di anima inquieta che corre parallelo alla storia di Francesca che rischia più volte la morte, come Francesca nella ricerca di se stessa la rischierà con la tossicodipendenza e con l'eroina. Francesca Comencini lo aveva già raccontato quarant'anni fa nel suo primo film, Pianoforte, che è citato anche qui come una sorta di circolarità biografica, arricchita dall'età e dall'esperienza della vita. La storia di Pinocchio diventerà un punto di vista compensatorio nel parallelo simbolico con la vita di Francesca, un salvatore che sa mostrare esuberanza, soggettività e desiderio senza fine. Francesca alla fine vuole diventare regista come il papà, raccontando la sua storia, la loro storia; Luigi le risponderà che ha passato una vita a scansare l'autobiografia, a filmare sempre le storie degli altri e lei arriva e vuole partire proprio raccontando la sua storia. Ci vuole un bel coraggio. Ma Comencini è bravissima nello scansare il pericolo di raccontarsi per celebrarsi, pone invece sempre affiancati e correlati i due registri: quello della vita e quello del cinema come un sogno. Quando riceverà un premio per il film, Francesca sembra quasi non volerlo mostrare, sembra altrove ancora fuori da quel tendone da circo o intenta a farsi la barba con il rasoio di suo padre. Vita e Cinema e non prima la vita e poi il cinema. Solo cosi Francesca Comencini è riuscita magistralmente ad esplorare la propria singolarità, ipseità direbbe Ricoeur, ed esprimere la propria unicità, affermando il proprio stile e la propria visione sulla storia tra un padre ed una figlia e non solo tra Luigi e Francesca. Vita e cinema insieme sanno spostare, seguendo una curvatura simbolica e trasfigurativa, i piani su una dimensione collettiva e trasversale a tutte le storie che raccontano la relazione tra genitori e figli, che alla fine del film si accompagnano, nel tempo che ci vuole, con la colonna sonora di Pinocchio.