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Borderline: un amore radicale per la vita

«L'analista non può aspirare ad altro che ad essere un mo­desto accordatore», scriveva Piergiacomo Migliorati (Studi Junghiani, n. 14/2001, Dal «Faust» al «Ooctor Faustus»: una sfida impossibile).
Nel suo nuovo libro Ivan Paterlini è un bravo accordatore, perché trae un ritmo armonico da tanti elementi diversi per introdurci al mondo violento e assoluto della patologia borderline di Diana. La posizione clinica di Ivan è 'sco­moda', sicuramente ·modesta·, perché si radica su un non sapere che è accoglienza rispettosa del mondo interno dell'altro. Il riferimento è chiaramente a Bion, ma non solo: Ivan coniuga il lavoro analitico con l'esperienza estetica, nel senso dell'incontro con un 'bello' che concerne l'espe­rienza emotiva, 'vissuta ma non conosciuta', il dolore inci­stato che agisce in silenzio. Scrive: «La psicoanalisi è an­che una forma d'arte con obiettivi scientifici. Esiste una zona indefinita dove si incrociano il dominio primordiale della natura con il territorio definito dell'uomo, ed è in que­sto crocevia che possono accadere la magia di un incontro, l'armonia combinata e imprevista tra soggetto e oggetto e, per chi impara a osservare la nuova forma nascente, l'emozione di una dinamica artistica», perché: «il processo creativo ed estetico include l'esperienza del sublime: dal sentimento del bello classico al sentimento che sa inclu­dere anche il terribile». Il terribile del trauma, della dispe­razione cieca e rabbiosa.
In questa ottica si inserisce l'incontro con il Gioco della Sabbia, il disegno, il colore ... l'accesso privilegiato al sim­bolico, che si realizza attraverso il linguaggio delle imma­gini. E qui il riferimento costante, come un basso continuo, è a Jung.
Diana è colpita dalle miniature di una bambina con la bam­bola e di un'anziana filatrice. L'oggetto diventa il punto di incrocio tra la vita personale, i ricordi, i vissuti dell'analiz­zante, e la storia collettiva dei lavori femminili, che ci con­tiene e trascende.
Citando Barthes, Paterlini parla di punctum in relazione al fatto scelto di Bion: è l'oggetto che sorprende, analizzante e analista, accogliendo lo sconosciuto che apre al segreto, all'esperienza di cambiamento. Precisamente in questa ot­tica il lavoro analitico è connesso alla dimensione artistica, cioè alla creazione di un nuovo che contiene e dà espres­sione all'indicibile. Un nuovo portatore di un vettore che struttura l'indistinto e dà significato e senso ai vissuti tra­volgenti. Un nuovo che si può esprimere con le parole, i di­segni, gli scarabocchi e i quadri di sabbia.
Il punto di contatto tra psicoanalisi ed estetica è costituito dalla dimensione etica che è presente nel lavoro clinico e nell'arte e che consiste principalmente nel dare forma e contenimento al terribile, al male, allo strazio del dolore del trauma. Nella dimensione duale del lavoro analitico è possibile operare una modificazione del vertice d'osserva­zione, anche della propria piccola, ma significativa espe­rienza di vita, per 'vedere' un altrove, un sostare in un tempo altro, nel tempo ampio della creazione del simbolo: «le immagini della filatrice e della bambina, ritrovate im­provvisamente sugli scaffali tra gli oggetti del Gioco della Sabbia, parlano quindi di un tempo simbolico che sa oltre­passare il corso progressivo del tempo lineare». Il simbolo non spiega, ma nel contempo contiene la dirompente espe­rienza emotiva, dà forma allo sconosciuto che può travol­gere, apre al mistero. In questo senso il contatto con il simbolico assume un'importante funzione riparatrice: «La forma estetica emergente è sempre anche una riparazione che catalizza l'energia, spostandola dal dolore del trauma e della ferita, oggettivando (ad esempio nei quadri di sabba) l'esperienza e la sua possibile riparazione».
Non è indifferente il luogo, il luogo fisico, dove può operarsi questa operazione: la stanza dell'analisi, che ospita ritual­mente l'analizzante, parla dell'analista e contiene i pensieri della coppia. In particolare lo studio per il Gioco della Sab­bia, con le miniature del mondo, è luogo simbolico di aper­tura alla dimensione collettiva.
C'è una relazione tra la cura della casa e la cura del corpo, un dedicarsi a qualcosa che concerne anche lo sviluppo del pensiero, perché si tratta di un riflettere su di sé, sul• l'ambiente, sul significato del vivere e di come vivere: «Pen­sieri filosofici ispirano il mio lavoro clinico». Paterlini sta in un ascolto socratico attento a un «saper abitare poetica­mente la stanza d'analisi nella costruzione di nessi e con­nessioni simboliche, nella fiducia di una naturale ripara­zione: la natura umana può ripararsi».

di Clementina Pavoni

Pubblicazione "Rivista di psicologia analitica" dicembre 2022 - https://rivistapsicologianalitica.it/

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