Skip to main content

Il gioco in tempo di guerra

Quanto è importante il gioco in tempo di guerra e nelle situazioni difficili della vita? il mito parla dell'amore tra la dea della fortuna Tyche e Ares, un atto d'amore improvviso tra fortuna e guerra che genera il gioco, la casualità che si accompagna alla sfida. Qui troviamo la radice mitica del gioco e di questo mettere insieme aleatorietà (Kubeuo) e scontro (Agon).

Pensiamo ai giochi che portano il bambino a girare su stesso sino alla vertigine, per fargli ritrovare un nuovo equilibrio; è un gioco di smarrimento e ritrovamento presente anche in natura, ad esempio, nelle gazzelle, nelle antilopi, nei camosci, nei cavalli selvaggi e nelle acrobazie egli uccelli.

Pensiamo ai giochi che si ripetono sempre uguali, ma sempre nuovi nell'entusiasmo di iniziarli e come antidoto al disagio.
Pensiamo ai giochi che costringono il bambino da una situazione di passività (il bambino subisce passivamente ciò che fuori sta accadendo), ad una situazione di attività: si diventa protagonisti delle proprie invenzioni e immaginazioni. La passività si trasforma in attività creativa.
F. Truffaut, Les Mistons, 1958
Robert Doisneau, Le remorqueur du Champs de Mars, 1943

Il gioco diventa un fare auto-terapeutico negli aspetti creativi e autopoietici della psiche; quel pensare magico di onnipotenza, che da piccoli ci ha fatto sentire i creatori del mondo, dovrebbe poter essere ripescato anche, e soprattutto, nei momenti di grande difficoltà e pericolo come in questi tragici giorni di pandemia. Esso sa contattare aree di eccitazione perché evidenzia costantemente lo stato di precarietà nel nostro rapporto tra il mondo interiore e il mondo fuori: l'amore per la vita può alimentare e motivarci al gioco, nonostante tutto. Ed è ancora Winnicott a ricordarci che "è nel giocare e soltanto mentre gioca che l'individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell'intera personalità, ed è solo nell'essere creativo che l'individuo scopre sé" (D., W., Winnicott, Gioco e Realtà, Armando: Roma, 1996, p.102).

Anche la solitudine a cui siamo costretti in questi giorni è una condizione che si coniuga alla possibilità creativa del gioco. Esso può nascere in solitudine alla presenza di qualcuno che abbiamo imparato a interiorizzare: sappiamo che c'è, e in sua assenza-presenza possiamo fare l'esperienza creativa reale del giocare, in assoluta libertà e come forma di vita. In momenti come questi, poter veicolare e rappresentare le emozioni di paura e angoscia attraverso il gioco, consente anche di preservare e tutelare il nostro corpo, ricettacolo e parafulmine di tutte le angosce non mediate.

Giocare, significa anche sognare, e aiuta a ricordarci che l'essere umano ha in sé le risorse per poter immaginare mondi nuovi sia in tempo di guerra, sia dopo la guerra, perché del dopo il gioco può iniziare oggi a parlarci.
Le fiabe e le verità scomode: come raccontare ai p....
Nuovo Cinema Paralitico di Franco Arminio e Davide....