Sul cavalletto dell'analista le province ferite: Anne e Barnaba nel Museo di Reims
È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. La vita è ciò che facciamo di essa […]. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo. (Pessoa F., Il libro dell'inquietudine).
L'opera architettonica di Guido Morpurgo è situata nell'area di manovra della Stazione Centrale di Milano, dove dal dicembre 1943 al gennaio 1945 furono deportati ebrei e detenuti politici verso i campi di sterminio. Il Memoriale della Shoah, una presenza fatta di un'area di 7.000 mq su due livelli che rielabora e riconfigura lo spazio della memoria. Una biblioteca su 3 livelli per 40.000 volumi, un auditorium da 200 posti e spazi come nuovi segni per attività didattiche, ricerche e mostre temporanee. L'edificio "immobile" è portatore di una memoria viva e potenzialmente trasformativa.
Così come, segni di luoghi potenzialmente trasformativi, lo è diventata la portineria di uno stabile di appartamenti a Firenze ideata da Matteo Innocenti che ha saputo mutarsi in luogo espositivo, un "altrove" di passaggio e accoglienza per molti artisti. Con un nuovo format, l'edificio si è "mosso" con un contenuto plurale che trasfigura lo spazio abitato e lo spazio interiore di chi lo abita.
Lo storico dell'arte Heinrich Wolfflin1 più di un secolo fa si chiedeva come fosse possibile che le forme architettoniche possano esprimere un'emozione o uno stato d'animo; forme architettoniche che vengono animate attraverso l'organizzazione corporea sentita dentro noi perché vicina alle condizioni elementari della vita organica. Kant un secolo prima rispose con il concetto di armonia: tanto più un edificio è in armonia tra le sue parti legandosi al bello, tanto più suscita in noi emozioni positive.
Altri filosofi come Shelling ed Hegel, si concentrarono più sui contenuti e meno sulle forme. Fisiologi e psicologi come von Helmholtz e Fechner esclusero invece il contenuto di un'opera, per concentrarsi sulle percezioni e la fisiologia degli eventi percettivi. Di certo fu Lipps, rivale acerrimo di Wundt (psicologo molto importante per la psicologia positivista) il più grande teorico dell'empatia incarnata. Diventiamo a livello corporeo, fisiologico e psicologico, ciò che guardiamo, esperienze somatiche diverse ci possono rafforzare o indebolire, allungare o accorciare la vita.
Molti maestri dell'arte come Kandinsky2, abbracciarono le teorie di Theodor Lipps a tal punto, che prima d'ogni lezione con i cavalletti, invitavano i loro allievi a trovare l'armonia nel corpo. Esercizi di respirazione e più in generale di ginnastica, esaltavano il ritmo biologico del corpo. L'arte diventa esercizio multisensoriale e multimodale. Nella Vienna di Freud, sarà Neutra (peraltro intimo amico del figlio di Freud, Ernst) a radicalizzare il discorso nel correlare certe forme architettoniche con effetti distruttivi fisiologici quando non sanno onorare la complessità umana e non tengono conto dei suoni, delle correnti d'aria, dei calori, degli aromi, degli spazi, della luce, di tutti gli elementi biologicamente connotati.
Winnicott era convinto che vivere creativamente fosse una dimensione di sanità e la compiacenza, invece, una base patologica per la vita. Si dovrebbe sviluppare un'estetica analitica che faciliti i processi simbolici di rinnovamento, fondamentali per qualsiasi percorso individuativo e di crescita. Una psicogeografia che sappia accompagnare ad immaginare che vita abbiamo davanti, che vita abbiamo lasciato alle spalle, dove possiamo svoltare… Metafore di immaginazione attiva su paesaggi interiori altri e possibili: saper "cancellare e dimenticare l'abitudine", saper accettare la mancanza come possibilità di trascendenza. Se l'estetica urbanistica periferica ci obbliga ad una certa prossemica (camminiamo tutti i giorni tra palazzi e case), e se la prossemica è parte costitutiva della nostra formazione culturale e identitaria, allora ciò che noi vediamo è anche il riflesso di ciò che da dentro ci ha formato e ci ha "forzato" nell'inconsapevolezza di una ripetizione.
L'analista come facilitatore simbolico, si dovrebbe muovere, tra le tante possibilità, in analogia con il graffitismo. Se, come sosteneva Walter Benjamin, la conoscenza deve contenere al suo interno un qualche elemento di contraddizione, il graffitismo mi pare ne parli con evidenza inconfutabile. Arte viva che dentro un tempo storico (che è quello umano), sa animare in modo contestuale (rispettando le singole culture) uno spazio malato con muri feriti e segni dimenticati. L'espressione è in comunione con l'ambiente e sa gettare la tela bianca per lavorare su ciò che già esiste. Sul cavalletto dell'analista ci mettiamo il mondo ferito di tante province psichiche. Scrive Luigi Ghirri7: "dislocare lo sguardo, aprire il paesaggio[…]. In ogni visitazione di luoghi, portiamo con noi questo carico di già vissuto e già visto, ma lo sforzo che siamo portati a compiere, è quello di trovare uno sguardo che cancella e dimentica l'abitudine […] per la necessità di orientarci di nuovo nello spazio e nel tempo". Lo sguardo che può cancellare e dimenticare deve necessariamente collocarsi dentro dimensioni architettoniche-psichiche che lo consentono per convertire la sempre rinnovabile percezione del mondo. Occhi diversi implicano l'educazione ad un ascolto interiore diverso e rinnovato. Il quotidiano e il già visto devono potersi elevare al valore di qualcosa d'altro, per l'emozione consapevole di appartenere e abitare mappe spaziali, dove oggetti e costruzioni danno forma ai nostri movimenti corporei e psichici.
Il racconto di Daniele del Giudice, Nel museo di Reims, mi pare emblematico per capire cosa intendo dire per ascolto interiore diverso e rinnovato all'interno di "spazi architettonici analitici" che facilitano il processo simbolico. Barnaba a causa di una malattia degenerativa sta perdendo la vista, decide di utilizzare il tempo che gli resta per imprimere nella memoria alcuni capolavori dell'arte. Mente Barnaba si aggira per le sale di un museo come se avesse un obiettivo puntato su ogni particolare, ogni dettaglio, ogni sfumatura possibile, quasi che occhio e quadro si confondessero nella memoria, una voce di donna gli si affianca. Anne ha colto il suo segreto e inizia a narrargli i quadri che lui quasi non vede. Anne, talvolta mente, racconta quello che non c'è, ma quello che potrebbe esserci, inventa ciò che sente far bene a Barnaba, ormai cieco davanti al mondo. Barnaba lo sa e non si sente ingannato da quella voce, ma guidato alla scoperta del suo nuovo sguardo, dei suoi nuovi mondi. Aristotele nell'Etica nicomachea sull'acquisizione di una virtù, scriveva che si diventa temperati compiendo azioni temperate, giusti compiendo azioni giuste. Vale a dire, prima ancora di possedere una virtù, occorre fare come se la si possedesse anticipandola con i nostri gesti di ascolto e immaginazione. Rinnovare il mondo che abitiamo e ci abita, significa poter immaginare paesaggi possibili per dislocarci e divenire, come ricordava Christian Bobin, oltre di ogni luogo.
NOTE:
1 H. Wolfflin, (2010), Psicologia dell'architettura, tr.it Et al., Milano2 Kandinsky, (1911), Lo spirituale nell'arte; (1926), Punto, linea, superficie
3 Mallgrave, H.,F., (2015), L'empatia degli spazi, Raffaello Cortina, Milano
4 si vedano, tra i tanti, gli studi di Vittorio Gallese, di David Freedberg, di Zeki e di Kandell
5 Gazzaniga, M.S. (2008). Quel che ci rende unici. Raffaello Cortina, Milano 2009
6 Hall, H., (1968), La dimensione nascosta, Milano: Bompiani
7 Luigi Ghirri, (2016) Pensiero paesaggio, Milano: Silvana editoriale