Dialoghi - Chat 8: L’infinita riproducibilità delle immagini
È come se non dovessimo credere sino in fondo alla realtà, ma nello stesso tempo fosse fondamentale desiderarla: saper divenire natura, saper divenire un paesaggio, saper divenire roccia, saper divenire un piccolo filo d'erba. Diventa allora l'esperienza di un paradosso vitale e vivente: amare ciò che non esiste. Se ci pensiamo, probabilmente, questa è la vera esperienza del vivere simbolico. Devi sperimentare il valore soggettivo della vita se vuoi accedere al simbolico.
Penso a quanto sia difficile in un mondo globalizzato e liquido prendere contatto e consapevolezza di queste fonti assolutamente vitali. Nella società dell'immagine nella quale viviamo ciò che sta prendendo sempre più corpo è l'infinita riproduzione autoriferita di immagini che diventano identitarie, quindi fondamentali, costruendo così forme narcisistiche di personalità, dilaganti anche nel mondo dell'arte: la tua immagine esiste se il mondo degli altri followers la guardano, la vedono. Mi chiedo come si può amare l'assenza, il mistero, il simbolo, i grandi misteri della vita, includendo anche l'inconscio, naturalmente, immersi in questo mare di artifizi e di grande scompenso biologico e istintuale: mi pare molto difficile, se non si cambia sguardo e se non si torna verso altre forme del sapere, per esempio verso la vera natura e il suo spirito. Questo non significa che il pensiero sia meno importante, ma che si sia arrivati al limite dell'invenzione umana, oltre il quale si rischia di perdere i fondamenti biologici che caratterizzano l'essere umano. Si sta costruendo un mondo di immensa fragilità, precarietà, inconsistenza che spesso alimenta pulsioni autoconservative radicali di chiusure e di difese mortifere.
Da Dialoghi, (2021) MAGI edizioni, pagina 138