Femminicidio: una ferita aperta che appartiene a tutti senza distinzione di genere
Imparare a lasciarci significa aver educato la fiducia per l'altro, aver imparato a gestire il conflitto, aver educato i ragazzi e le ragazze alla fragilità, aver imparato a trasformare una crisi in un nuovo senso e nuovo orientamento. L'amore narcisistico non lascia spazio a tutto questo, non lascia spazio alla possibilità di elaborare un lutto perché c'è sempre un farmaco che risolve e poi, tutto sommato, "non è niente, fregatene…".
Uno dei miti fondanti la riflessione tra maschile e femminile é ben rappresentato dal dramma di Orfeo ed Euridice portatore di un emblema mai risolto. Ci sono mille versioni psicanalitiche; una delle più ricorrenti è che il giorno del matrimonio tra Orfeo Euridice, lei viene morsicata da un serpente e muore. Euridice va negli inferi nel mondo di Ade e Persefone. Orfeo è disperato, totalmente disperato, così totalmente identificato con Euridice da non può vivere senza di lei ed è talmente forte il suo lamento che riesce ad accedere al mondo infero e a farsi traghettare dove nessun mortale era mai sceso da vivo. Platone, nel Simposio, dice che Orfeo non ha saputo morire d'amore ma è rimasto vivo. Riesce a convincere Persefone di intercedere attraverso Ade perché Euridice ritorni in vita. Orfeo convince tutti: l'unica indicazione che gli viene data è di non voltarsi nel ritorno verso la luce guardando Euridice. E un diktat. Lui inizia a risalire ma ad un certo punto decide di voltarsi, perdendo Euridice per la seconda volta. La domanda che ci poniamo da sempre è il motivo per cui una persona rischia tutto, riesce ad ottenere quello che non è mai stato ottenuto da un mortale e poi la perde così stupidamente voltandosi disattendendo così il monito. Probabilmente Orfeo, come alcune interpretazioni antiche sostengono, ha perso la memoria dopo aver incontrato i morti e la legge degli inferi. Risalito alla luce senza Euridice il suo canto e la sua musica disperata lo porterà ad essere uno dei simboli del pederasta che odia tutte le donne. Canterà solo una musica in ricordo di Euridice, e per questo verrà punito severamente dalle baccanti. Una catabasi, uno scendere verso noi stessi per raggiungere qualcosa che sappia costruire una relazione possibile, ma l'errore che fa Orfeo è di utilizzare un atteggiamento di sfiducia, attivando uno sguardo che tradisce il contatto con un femminile che ha bisogno invece di un'altra luce, di un altro sguardo, di un altro modo. Orfeo non ha saputo riconoscere l'altro, non ha saputo riconoscere il linguaggio della propria interiorità usando una modalità che pagherà a caro prezzo perdendo per sempre Euridice e se stesso.
Se non sappiamo rieducare lo sguardo di una certa cultura maschile, tutti perderanno la vita, chi torturandosi nella luce accecante del possesso e della sfiducia, chi perdendola tragicamente. Tutti noi siamo un brandello di Orfeo, tutti noi siamo pieni di paure e fragilità, tutti noi temiamo di perdere ciò che amiamo più di ogni altra cosa, tutti noi siamo figli di una cultura competitiva e nello tesso tempo fragilissima, tutti noi non siamo stati educati alla fiducia di uno sguardo che sappia mantenere vivo il mistero e i limiti di cui esso è portatore, che sappia rispettarne i segreti e le autonomie, che sappia riconoscere il valore della luce lunare e non solo lo sguardo penetrante e indagatore che sa solo accecare. Educare alla fiducia della complementarietà sia essa etero, omo, trans, ecc. della differenza come motore desiderante. Spesso invece, il sentirsi identico all'altra persona sviluppa una sovrapposizione proiettiva molto pericolosa e mortifera perché in sua assenza, si muore e talvolta tragicamente si uccide.
La tematica portante di questo mito, la ritroviamo anche in una versione opposta in Amore e Psiche dove è il femminile a non fidarsi del maschile. Psiche perde Amore, guardandolo. Il patto era che non doveva guardarlo con la luce del giorno. Invece si avvicina di notte, accende la candela e illumina ciò che non poteva illuminare; perde il rapporto con il proprio maschile e da lì inizia un viaggio di individuazione per poter recuperare il divino che, nonostante tutto, può sempre esistere nelle coppie. Uno dei più importanti psicoanalisti del secolo scorso e di cui mi sono occupato a lungo, Donald Meltzer, sosteneva che il bambino di fronte al seno materno ne resta abbagliato dalla immensa bellezza e dall'infinito nutrimento. Quando capisce che il seno è fuori da lui ed è altro rispetto alla sua esistenza, si crea un conflitto (conflitto estetico) e questo conflitto può generare mondi, cultura e crescita solo se gestito e tollerato. La gestione del conflitto e della capacità di tollerare la frustrazione é un tema fondamentale nell'educazione sentimentale del rapporto tra maschile e femminile. Non sapere gestire un conflitto significa anzitutto denunciare implicitamente la propria fragilità che spesso si traveste di arroganza e prepotenza; significa procedere nella direzione tipica delle sofferenze borderline fatte di tutto o nulla: o tutto il seno per me o nulla, o, nei casi estremi, lo elimino, lo distruggo, mi distruggo.
Le patologie oramai imperanti negli ultimi anni parlano di forme narcisistiche che sanno solo riconoscere l'identico e con molta difficoltà la differenza. Specchiarsi e vedere solo se stessi è il primo movimento che successivamente richiede un altro sguardo: lo sguardo della crescita, del riconoscimento di una mancanza, del riconoscimento di non poter raggiungere quella figura nello specchio che capovolta resta sempre al di là del vetro. Significa saper inserire nella cornice dello specchio una parte mancante e differente. Penso sia questa una delle tante strade auspicabili di consapevolezza per poter amare e non uccidere le tante forme dell'amore presenti e possibili, al di là della retorica, e di tutte le avvilenti strumentalizzazioni, di una grande ferita e di un grande dolore che appartiene a tutti senza distinzione di genere.